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Bencivenni: monito a Palazzo Vecchio sui conventi di Costa S. Giorgio

“Perché non si è pensato di indicare destinazioni che potessero creare le premesse di un restauro conservativo?”

Il prof. Mario Bencivenni alla Maratona oratoria civile del 28 maggio 2021 sotto Palazzo Vecchio

Il prof. Mario Bencivenni alla Maratona oratoria civile del 28 maggio 2021 sotto Palazzo Vecchio

Insegna “Restauro dei Monumenti, Giardini Storici e del Paesaggio” presso la Scuola di Specializzazione nella Facoltà di Architettura de La Sapienza a Roma il prof. Mario Bencivenni, e ha all’attivo una lunga esperienza di ispettore onorario della Soprintendenza. Tra i soci fiorentini più attivi di Italia Nostra, leggiamo sul blog, “costituisce l’esempio semplicemente ammirevole, vero e proprio modello, di volontario a tempo pieno che si dedica con capacità, competenza e passione alla messa in opera dei principi che regolano l’attività dell’Associazione”.  Di un certo peso dunque la memoria storica di cui si fa portatore nella lettera di “appoggio alle buone ragioni per un serio ripensamento sulla pratica urbanistica ed edilizia in corso di definizione per l’ex Caserma Vittorio Veneto di Costa S. Giorgio”. Lettera che Idra ha trasmesso stamani alla giunta comunale diretta da Dario Nardella, ennesimo capitolo dell’azione di tutela della collina che alimenta le sorgenti e le fontane di Boboli condotta in questi mesi da centinaia di cittadini attivi dell’Oltrarno firmatari del progetto partecipativo “Laboratorio Belvedere”, accolto dalla Regione Toscana ma impietosamente rigettato dall’Amministrazione comunale di Firenze.

Lo studioso fiorentino analizza il rapporto fra la qualità storica, architettonica e ambientale di quella collina e le destinazioni individuate dalla Variante. Se quelle intervenute dopo l’ultima soppressione seguita all’Unità d’Italia hanno modificato infatti profondamente gli ex conventi, pur tuttavia sono rimasti “intatti l’organismo e la distribuzione originari”. Il prof. Bencivenni si chiede quindi: “Ma perché allora non si è pensato sia nel piano strutturale che nel regolamento urbanistico di indicare per la dismissione di questo importante e storico contenitore destinazioni che impedissero ulteriori definitive distruzioni e che potessero creare le premesse di un suo restauro conservativo?”. E cita lo studio di Osanna Fantozzi Micali e Piero Roselli (“Le soppressioni dei conventi a Firenze: riuso e trasformazioni dal sec. XVIII in poi”), che 40 anni fa affrontava il tema della dispersione di un patrimonio che consta di quasi 100 edifici all’interno del perimetro delle mura arnolfiane. “Già allora gli autori di quell’importante regesto”, osserva il prof. Bencivenni, “sulla scia delle importanti acquisizioni emerse da una delle esperienze pilota nel recupero dei centri storici come quella portata avanti negli anni ‘70 a Bologna sotto la regia di Pier Luigi Cervellati, ponevano correttamente in relazione il tema del restauro/riuso di quanto era sopravvissuto di quegli edifici conventuali al loro fondamentale rapporto con la città. E aggiunge: “Anche nel caso limite della perdita di ogni loro elemento di valore storico artistico originario che possa averli ridotti a puro contenitore con unico valore residuale nelle strutture murarie, pertanto non da restaurare ma da riutilizzare liberamente, essi richiamavano ad un principio di cautela: «Ma anche in quest’ultimo caso, se la scelta della funzione può in qualche misura risultare indifferente ad una struttura architettonica che abbia perduto ogni originaria connotazione, non può tuttavia non tenere conto di quel dato importantissimo, cui abbiamo fatto riferimento, e cioè il rapporto del complesso con la città».

Purtroppo, invece, se si considera il caso in questione, cioè quello del riuso degli ex Conventi di San Giorgio e dello Spirito Santo e di San Girolamo e San Francesco in Costa San Giorgio, affacciati sul giardino mediceo di Boboli, incastonati fra la chiesa di Santa Felicita, Palazzo Pitti e Forte Belvedere, “dall’esame degli atti di governo del territorio e della variante in corso di approvazione tutto questo sembra essere completamente ignorato e trascurato.

Urge dunque un ripensamento amministrativo sulla pratica in corso di definizione.

Mario Bencivenni, intervenuto su questo tema anche alla maratona oratoria civile promossa dall’associazione Idra lo scorso 28 maggio sotto Palazzo Vecchio “per un’urbanistica partecipata e trasparente”, condivide al riguardo che si debba “decidere una pausa di riflessione e l’avvio di un vero dibattito pubblico”.

Seguiranno gli interventi di Pietro PIUSSI, già  docente di Ecologia e Selvicoltura generale presso l’Università di Firenze, ed Enzo PRANZINI, già ordinario di Geografia fisica e climatologia presso l’Università di Firenze.

Il contributo di Mario BENCIVENNI

In appoggio alle buone ragioni per un serio ripensamento sulla pratica urbanistica ed edilizia in corso di definizione per l’ex Caserma Vittorio Veneto di Costa S. Giorgio

Ben poco c’è da aggiungere alle articolate e motivate osservazioni presentate dall’Associazione Idra di Firenze alla procedura di non assoggettamento a VAS della di variante urbanistica in corso di approvazione da parte della Amministrazione Comunale di Firenze relativo all’ex-Caserma di Costa S. Giorgio e non si può non rimanere sconcertati dal rigetto della richiesta di “dibattito pubblico”. Documento emblematico di questa aporia fra le affermazioni contenute nelle leggi del governo del territorio e la prassi attuativa è la risposta affidata al Segretario Generale del Comune di Firenze per comunicare il rigetto di un’istanza di partecipazione dei cittadini, una risposta affidata ad un organo tecnico per affermare invece la motivazione tutta politica di “non disturbare il manovratore”!

Vorrei tuttavia accompagnare il mio pieno appoggio a questa iniziativa di Idra e dei cittadini dell’Oltrarno che l’hanno sottoscritta, con queste ulteriori considerazioni di studioso e di docente di teoria e storia di restauro e di tutela dei monumenti.

La ex caserma Vittorio Veneto ha accorpato due Conventi (S. Giorgio dello Spirito Santo e S. Girolamo- S. Francesco sulla Costa) che già alla metà del ‘500 si connotavano come una presenza importante sul Poggio de’ Magnoli o di Belvedere. Due episodi che con la loro posizione a cavaliere di questo importante colle creavano un’estensione del convento e della chiesa di S. Felicita verso la sommità del colle che sarebbe stata occupata dalla fortezza del Buontalenti. Insomma un asse di insediamenti conventuali a spartiacque fra il nuovo magnifico giardino di Boboli e l’asse viario di via dei Bardi e il fiume Arno. Infatti parte dei loro vasti orti e giardini che si collegavamo a quelli di S. Felicita erano andati ad incrementare il nuovo imponente giardino di Boboli. Orti e giardini di notevole importanza e non a caso ricordati anche da Angiolo Pucci nella sua monumentale opera sui Giardini di Firenze (Angiolo Pucci, I Giardini di Firenze, vol. IV, Firenze, Olschki, 2017, pp. 491-493). La presenza di questi orti puntualmente descritti negli inventari delle soppressioni documenta inoltre la presenza di acqua nel sottosuolo del colle e quindi della sua fragilità idrogeologica (non a caso una parte del lato verso via dei Bardi di fronte al Palazzo Capponi registrò una tremenda frana che distrusse con perdite di vita edifici e case posti nell’attuale giardino di lato a Costa Scarpuccia, e denominò con l’appellativo “delle rovinate” questo ramo dei Capponi). I due conventi dopo l’ultima soppressione seguita all’Unità d’Italia, data la prossimità al Forte di Belvedere, furono uniti per ospitare una caserma militare e poi nel 1928 l’alloggiamento degli allievi della Scuola di Sanità Militare realizzata nell’ex Convento del Maglio. Destinazioni che sicuramente hanno modificato profondamente gli ex conventi, mantenendo però intatti l’organismo e la distribuzione originari. Ma perché allora non si è pensato sia nel piano strutturale che nel regolamento urbanistico di indicare per la dismissione di questo importante e storico contenitore destinazioni che impedissero ulteriori definitive distruzioni e che potessero creare le premesse di un suo restauro conservativo? Possibile che i nostri amministratori non conoscano quel quadro del patrimonio dei conventi a Firenze e del riuso e delle trasformazioni dal sec. XVIII minuziosamente ricomposto e pubblicato nel 1980 (Casa editrice LEF) da Osanna Fantozzi Micali e Piero Roselli? In quello studio ben 40 anni fa si poneva il problema della dispersione di questo importante patrimonio (quasi 100 edifici solo all’interno del perimetro delle mura arnolfiane) del nostro centro storico. E già allora gli autori di quell’importante regesto, sulla scia delle importanti acquisizioni emerse da una delle esperienze pilota nel recupero dei centri storici come quella portata avanti negli anni ‘70 a Bologna sotto la regia di Pier Luigi Cervellati,  ponevano correttamente in relazione il tema del restauro/riuso di quanto era sopravvissuto di quegli edifici conventuali al loro fondamentale rapporto con la città. Anzi anche nel caso limite della perdita di ogni loro elemento di valore storico artistico originario che possa averli ridotti a puro contenitore con unico valore residuale nelle strutture murarie, pertanto non da restaurare ma da riutilizzare liberamente, essi richiamavano ad un principio di cautela: «Ma anche in quest’ultimo caso, se la scelta della funzione può in qualche misura risultare indifferente ad una struttura architettonica che abbia perduto ogni originaria connotazione, non può tuttavia non tenere conto di quel dato importantissimo, cui abbiamo fatto riferimento, e cioè il rapporto del complesso con la città».

Dall’esame degli atti di governo del territorio e della variante in corso di approvazione tutto questo sembra essere completamente ignorato e trascurato.

Solo per questo, oltre che per le tante ragioni indicate nelle osservazioni presentate dall’Associazione Idra, si doveva decidere una pausa di riflessione e l’avvio di un vero dibattito pubblico.

Ma, come dice un antico aforisma, l’ignoranza si accompagna spesso all’arroganza di chi non pensa di essere amministratore, ma proprietario della città.

Accompagno questa sconsolata considerazione sulle gravi lacune che stanno dietro all’approvazione della variante che dichiara inutile la VAS su un procedimento di questa rilevanza e il cui espletamento è assegnato appunto alle Giunte comunali con un’altra ancora più deprimente. Il perfezionamento di questa pratica per il quale si rifiuta un processo partecipativo richiesto da un elevato numero di cittadini è portato avanti sulla base di un Regolamento Urbanistico decaduto ai primi di giugno del 2020 e per il quale, invece di andare in regime di salvaguardia, si è richiesta ed ottenuta, dalla Regione Toscana, una proroga prima di un anno, e addirittura estesa ancora fino alla fine del 2021. E come se non bastasse questo permette ancora l’utilizzo di una variante al Regolamento Urbanistico decaduto, la nota variante all’art. 13 delle norme tecniche attuative che, impugnata da Italia Nostra, è ancora in attesa di un giudizio definitivo da parte del Consiglio di Stato. Questa proroga eccezionale è stata motivata con la emergenza sanitaria creatasi con la pandemia da Covid 19. Sarebbe interessante che un’autorità terza esaminasse quante di queste pratiche urbanistiche e edilizie perfezionate grazie a questa proroga abbiano un interesse con la lotta alla pandemia e con la conseguente emergenza sanitaria e sociale.

 

Mario BENCIVENNI

storico

docente presso la Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti, Giardini Storici e del Paesaggio

La Sapienza, Facoltà di Architettura, Roma

 



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