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Belvedere, Firenze: quando un luogo è un vissuto speciale

Le parole dello scultore ‘resistente’ alle Gualchiere Piero Gensini e della storica dell’arte Oliva Rucellai

Edvard Munch, 1893, L'urlo

Edvard Munch, 1893, L’urlo

Dopo le testimonianze di Antonio Paolucci, Antonio Natali e l’abate Bernardo di San Miniato, arrivano oggi sui tavoli della giunta comunale di Firenze due testi che documentano altrettanti vissuti legati alla qualità dei luoghi che Idra – alleata a centinaia di cittadini consapevoli dell’Oltrarno e a centinaia di esponenti della cultura nazionale e internazionale – non cessa di difendere, perché rimanga un bene a disposizione delle generazioni future.

A parlare, qui, un artista e una cultrice della storia dell’arte. Tema, l’identità peculiare di questo lembo di città.

Lo scultore Piero Gensini, ‘resistente’ col suo atelier nel villaggio delle trecentesche Gualchiere di Remole (un altro gioiello trascurato per decenni dall’amministrazione pubblica proprietaria, il Comune di Firenze per l’appunto), partendo da un paesaggio abitato da ”bella gente (anche se povera), molto dignitosa, schietta e coraggiosa”, e dall’esigenza che “la città mantenga la sua identità che la rende viva e unica”,  arriva a rievocare il Patto di famiglia con cui, al termine della dinastia Medici, Anna Maria volle lasciare l’enorme patrimonio artistico/architettonico ai cittadini di Firenze. E – per contrasto – non possono non venire in mente i più recenti episodi di alienazione (o tentata alienazione) di beni architettonici vincolati da donazioni che altre famiglie non esattamente fiorentine hanno elargito alla nostra comunità, come i Basilewsky per l’omonima Villa o i Demidoff per il Sanatorio “Guido Banti” a Pratolino.

La storica dell’arte Oliva Rucellai abbandona da parte sua l’abito tecnico per recuperare quello, personale, di studentessa universitaria trasferitasi a suo tempo da Milano a Firenze, che scopriva, in Costa San Giorgio, “una libertà che a me, milanese, abituata a una città dove la campagna non si vede, pareva meravigliosa”. Grazie al “cambio, quasi magico, di dimensione -  dalla città alla campagna – senza mezzi di trasporto” che offriva – e tuttora offre – l’esperienza di quell’ambiente.

“Possano, anche queste testimonianze, toccare le corde della vostra sensibilità!”. Con questo auspicio si chiude oggi il sesto “contributo informativo” con cui l’associazione interpella una classe dirigente locale tuttora refrattaria al dialogo, all’incontro, al confronto.

 

Seguirà l’intervento di Carlo Spagnolo, ordinario di Storia contemporanea all’Università di Bari.

 

I contributi di

Piero GENSINI e Oliva RUCELLAI

 

Parlare della Costa San Giorgio mi fa tornare addietro di molti anni, rivedere la mia infanzia e la prima gioventù, questo perché sono nato in via Belvedere come del resto tutti i miei antenati fin dall’ottocento. Lontani ricordi ma indelebili.

Ricordo i soldati a cavallo che salivano da San Niccolò su per Via Belvedere verso il Forte con un enorme polverone (la via era sterrata), il percorrere per mano a mio padre la stupenda Via S. Leonardo sfiorando lo studio Rosai, nel silenzio più assoluto accompagnati dal rumore della natura e dei nostri passi su quelle pietre che erano un romantico segnale identitario della mia città.

Spesso mio padre mi portava alla Costa San Giorgio, dove in angolo con Costa Scarpuccia, aveva un suo grande amico, il barbiere proprio di fronte alla caserma di Sanità; lì c’era un terrazzino dove teneva delle sedie per gli amici. Oppure mi portava verso Piazza S. Felicita e al ponte Vecchio e ricordo chiaramente le macerie di Borgo S. Iacopo e di Via de’ Bardi fatte saltare dai Tedeschi.

Mio padre mi raccontava delle storie di quel quartiere e della bella gente (anche se povera) che ci abitava, della solidarietà che vi regnava.

Era gente molto dignitosa, schietta e coraggiosa, mio nonno gli aveva raccontato che dalla Costa San Giorgio erano partiti volontari 5 o 6 Garibaldini.

Per me è importante che la città mantenga la sua identità che la rende viva e unica, con i suoi abitanti, con le sue strade lastricate, con i suoi silenziosi vicoli, con le sue imponenti architetture, con le sue opere d’arte nel museo all’aperto. Questa città è stata pensata  da grandi personaggi illuminati, col lavoro di illustri artisti e architetti e dalle virtuose mani dei suoi artigiani.

Conservare, recuperare è avere grande rispetto per il patrimonio che abbiamo ereditato e che è nostro dovere primario tramandarlo alle nuove generazioni.

Monito esemplare è stato dato da Anna Maria de’ Medici con “Il patto di famiglia” del 1737 che volle lasciare, lottando e difendendo con tenacia, l’enorme patrimonio artistico/architettonico ai cittadini di Firenze, sancendo la sua fruibilità.

 

Piero GENSINI

scultore

 

Vorrei portare una testimonianza  personale, da cittadina, al di là delle mie competenze di storica dell’arte.

Sono di origine fiorentina, ma nata e cresciuta a Milano. Una volta trasferita a Firenze, ai tempi  dell’Università quello che allora come oggi più mi ha colpito e conquistato di questa città è stata proprio Costa San Giorgio, ovvero una libertà che a me, milanese, abituata a una città dove la campagna non si vede, pareva meravigliosa.

La libertà di passare in dieci minuti a piedi dal centro più antico della città, dal Ponte Vecchio, affollato e rumoroso, a una dimensione di vera campagna, al silenzio, al verde, all’aria delle colline.

E il passaggio che consentiva a chiunque questo cambio, quasi magico, di dimensione -  dalla città alla campagna – senza mezzi di trasporto, era ed è proprio Costa San Giorgio. 

Per questo chiedo a chi ha il potere di decidere di riconsiderare e dedicare doppia e tripla attenzione a questo progetto, per non sciupare qualcosa che ha solo Firenze, che la rende unica e a misura d’uomo come nessun’altra città.

Sono consapevole di quanto sia difficile trovare una nuova destinazione a un complesso storico come questo. Ma credo che si possa almeno cercare un’alternativa, che consenta la tutela e la sostenibilità senza necessariamente imbalsamare tutto.

Cerchiamo un equilibrio vero tra i valori culturali e paesaggistici e le esigenze economiche, ma non cediamo alla soluzione più facile.

 

Oliva RUCELLAI

storica dell’arte



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